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MarcelDuchamp
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«Una sera camminavo lungo un viottolo in collina nei pressi
di Kristiania - con due compagni. Era il periodo in cui la vita aveva ridotto a
brandelli la mia anima. Il sole calava - si era immerso fiammeggiando sotto
l'orizzonte. Sembrava una spada infuocata di sangue che tagliasse la volta
celeste. Il cielo era di sangue - sezionato in strisce di fuoco - le pareti
rocciose infondevano un blu profondo al fiordo - scolorandolo in azzurro
freddo, giallo e rosso - Esplodeva il rosso sanguinante - lungo il sentiero e
il corrimano - mentre i miei amici assumevano un pallore luminescente - ho
avvertito un grande urlo ho udito, realmente, un grande urlo - i colori della
natura - mandavano in pezzi le sue linee - le linee e i colori risuonavano
vibrando - queste oscillazioni della vita non solo costringevano i miei occhi a
oscillare ma imprimevano altrettante oscillazioni alle orecchie - perché io
realmente ho udito quell'urlo - e poi ho dipinto il quadro L'urlo.»
Testo tratto da una pagina del suo diario.
Ad urlare non è solo la figura che potremmo quasi definire
extraterrestre, ma è l’intero quadro, basta vedere i colori (complementari rosso-verde,
azzurro-arancione) e le pennellate, veloci, morbide e confuse, agitate come se
volessero scappare del dipinto.
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